Il Duomo e la torre Ghirlandina – Modena

Il Duomo, patrimonio mondiale dell’UNESCO, è considerato un capolavoro dell’arte romanica e simbolo della città di Modena.

L’architetto Lanfranco e lo scultore Wiligelmo nel 1099 posero la prima pietra e nel 1106, alla presenza della Contessa Matilde di Canossa, fu traslato il corpo di San Geminiano (Santo patrono della città) che, tuttora, trova riposo nella cripta.

Consacrato nel 1184, il Duomo sintetizza la cultura antica di tradizione classica con la nuova arte lombarda, creando un modello fondamentale per la civiltà medievale.

All’officina di Wiligelmo si devono il Portale Maggiore e anche la maggior parte delle sculture collocate sulla facciata, raffigurazioni sacre e profane, celestiali e mostruose: riassumono l’intero mondo spirituale dell’uomo medievale, la fede, le speranze, i timori, le certezze e i dubbi.

Rimane ineguagliata, dopo nove secoli, la toccante espressività dei Rilievi della Genesi, scolpiti da Wiligelmo su grandi lastre di pietra, anch’esse di reimpiego.

Le vicende di Adamo ed Eva, di Caino e Abele, dell’arca di Noè conservano ancora oggi, intatte, una forte intensità, una inusuale carica espressiva e una straordinaria capacità narrativa.

Ai primi due decenni del XII secolo risalgono anche i rilievi che ornano le altre due porte aperte da Lanfranco nel Duomo.

La Porta dei Principi, affacciata su Piazza Grande, accoglie i fedeli narrando loro la storia del patrono san Geminiano, trascritta per immagini e trasformata in racconto, con figure di una qualità del tutto singolare.

Sul lato settentrionale, nei pressi della torre Ghirlandina, si apre la Porta della Pescheria, originale per la concreta umanità dei due telamoni che dialogano con chi varca la soglia, chiedendo aiuto per sostenere l’enorme peso che li opprime.

All’uomo e al suo lavoro sono dedicate le sculture degli stipiti interni di questa porta, su cui sono effigiati, sotto spoglie umane, i dodici Mesi intenti ai lavori della campagna.

Uno sguardo particolare va rivolto alle Metope, rilievi posti sui salienti del tetto, che mostrano un vivace repertorio di esseri fantastici e mostruosi: sul Duomo troviamo in realtà delle copie, poiché gli originali sono stati trasferiti nel Museo Lapidario del Duomo, per problemi conservativi.

A maestri padani attivi poco prima dell’arrivo dei Campionesi, cioè intorno al 1170 – 80, e che mostrano di conoscere la scultura del Battistero di Parma, si devono anche l’ambone e il pontile che, all’interno della Cattedrale, precedono l’ingresso alla cripta.

Dagli ultimi decenni del XII secolo circa fino ai primi del XIV, furono attivi nel cantiere del Duomo e della Ghirlandina, i Maestri Campionesi, maestranze provenienti da Campione, sul lago di Lugano, organizzate come vere e proprie botteghe famigliari.

Dobbiamo a loro l’apertura del grande rosone e delle due porte laterali nella facciata e della magnifica Porta Regia su Piazza Grande, che con il gioco cromatico dei suoi preziosi marmi rosati spicca sulla candida parete del Duomo e anche la creazione del falso transetto che si inserisce sull’originaria struttura basilicale progettata da Lanfranco.

Accanto si erge la Torre Ghirlandina, che sfiora i 90 metri, costruita dal Comune anche a scopi difensivi, i cui primi quattro piani, più antichi, sono riccamente decorati con bassorilievi raffiguranti dame, cavalieri, mostri e sirene, mentre l’ultimo, la guglia ottagonale e la cuspide risalgono al XIII/XIV secolo.

Edificata come torre campanaria del Duomo, la torre ha tuttavia rivestito fin dalle sue origini un’importante funzione civica: il suono delle sue campane scandiva i tempi della vita della città, segnalava l’apertura delle porte della cinta muraria e chiamava a raccolta la popolazione in situazioni di allarme e pericolo.

Le sue possenti mura custodivano la cosiddetta “Sacrestia” del Comune, dove erano conservati i forzieri, gli atti pubblici e oggetti di alto valore simbolico come la celebre trecentesca “Secchia rapita” (ora qui esposta in copia).

Questo vile e supremo oggetto di contesa tra modenesi e bolognesi nell’infuriare della storica battaglia di Zappolino (1325), è stato reso celebre dall’omonimo poema eroicomico di Alessandro Tassoni.

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