Piazza Armerina – La Villa del casale

La Villa romana del Casale è un edificio abitativo tardo antico, popolarmente definito villa nonostante non abbia i caratteri della villa romana extraurbana quanto piuttosto del palazzo urbano imperiale, i cui resti sono situati a circa quattro chilometri da Piazza Armerina, in Sicilia.

Dal 1997 fa parte dei Patrimoni dell’umanità dell’UNESCO.

Il primo assetto museografico si doveva all’architetto Francesco Cappellani.

La scoperta della villa si deve a Gino Vinicio Gentili, che nel 1950 ne intraprese l’esplorazione in seguito alle segnalazioni degli abitanti del posto.

Basandosi principalmente sullo stile dei mosaici, lo scopritore datò in un primo momento l’impianto della sontuosa abitazione – sorta su una più antica fattoria – non prima della metà del IV secolo; successivamente lo stesso studioso assegnò la villa all’età tetrarchica (285-305).

Secondo Ranuccio Bianchi Bandinelli la villa va datata al primo venticinquennio del IV secolo.

Gli esami sulle murature hanno datato la villa e i mosaici stessi a una successione di tempi che va all’incirca dal 320 al 370.

Tra i resti della villa si individuano quattro nuclei separati:

  • ingresso monumentale a tre arcate con cortile a ferro di cavallo (ambienti 1-2);
  • corpo centrale della villa, organizzato intorno ad una corte a peristilio quadrangolare, dotata di giardino con vasca mistilinea al centro (ambienti 8-39);
  • grande spazio, preceduta da un peristilio ovoidale circondato a sua volta da un altro gruppo di vani (ambienti 47-55)
  • complesso termale, con accesso dall’angolo nord-occidentale del peristilio quadrangolare (ambienti 40-46).

Ognuno dei quattro nuclei della villa è disposto secondo un proprio asse direzionale. Tuttavia tutti gli assi convergono al centro della vasca del peristilio quadrangolare.

Nonostante le apparenti asimmetrie planimetriche, la villa sarebbe dunque il frutto di un progetto organico e unitario che, partendo dai modelli correnti nell’edilizia privata del tempo (villa a peristilio con aula absidata e sala tricora), vi introdusse una serie di variazioni in grado di conferire originalità e straordinaria monumentalità all’intero complesso.

L’unità della costruzione è testimoniata anche dalla funzionalità dei percorsi interni e della suddivisione tra parti pubbliche e private.

I tempi di costruzione, furono inizialmente valutati in un periodo di cinquanta-ottanta anni, e poi ridotti a circa cinque-dieci anni. Oggi si tende a credere ad una durata corta dei lavori.

La funzione delle sale è quasi sempre suggerita da allusioni nei mosaici pavimentali.

La divisione in tre nuclei distinti, anche dal punto di vista degli assi, e materialmente divisi consentiva usi separati, senza il rischio di confusioni o indiscrezioni.

La grande funzionalità era legata a un’esasperata ricerca degli effetti prospettici e delle planimetrie con linee curve (soprattutto nelle terme e nel triclinio sud).

La successione vestibolo-corte-nartece-aula absidata, già in uso durante l’architettura aulica del basso Impero (come la basilica Palatina di Costantino a Treviri), con una notevole intercambiabilità verrà ripresa come impianto delle basiliche cristiane (antica basilica di San Pietro in Vaticano) e, più tardi, delle moschee arabe.

La villa “a padiglioni” o “a nuclei” non è una tipologia isolata a Piazza Armerina, ma, oltre ad essere documentata in un’altra villa siciliana presso Noto, ha precise corrispondenze in ville africane e deve il suo modello originario alla villa Adriana di Tivoli.

Durante i primi due secoli dell’Impero la Sicilia aveva attraversato una fase di depressione, dovuta al sistema di produzione del latifondo, basato sul lavoro degli schiavi: la vita urbana aveva subito un declino, la campagna era deserta e i ricchi proprietari non vi risiedevano, come la mancanza di resti abitativi di un certo livello sembrerebbe indicare.

Inoltre, il governo romano trascurava il territorio, che divenne luogo d’esilio e rifugio di schiavi e briganti.

La Sicilia rurale entrò in nuovo periodo di prosperità agli inizi del IV secolo, con gli insediamenti commerciali e i villaggi agricoli che sembrano raggiungere l’apice della loro espansione e della loro attività.

Tracce di attività costruttive restano nelle località di Filosofiana, Sciacca, Punta Secca, Naxos e altrove.

Un evidente segnale di trasformazione è costituito dal nuovo titolo assegnato al governatore dell’isola, da corrector a consularis.

Le motivazioni sembrano essere duplici: anzitutto la rinnovata importanza delle province dell’Africa proconsolare e della Tripolitania per i rifornimenti di grano verso l’Italia, mentre la produzione egiziana, che aveva fino ad allora sopperito alle necessità di Roma, venne convogliata a Costantinopoli (dal 330 nuova capitale imperiale); la Sicilia assunse di conseguenza un ruolo centrale sulle nuove rotte commerciali fra i due continenti.

In secondo luogo i ceti più abbienti, di rango equestre e senatorio cominciarono ad abbandonare la vita urbana ritirandosi nei propri possedimenti in campagna, a causa della crescente pressione fiscale e delle spese che erano obbligati a sostenere per il mantenimento degli apparati pubblici cittadini. In tal modo inoltre i proprietari si occupavano personalmente delle proprie terre, coltivate non più da schiavi, ma da coloni.

Considerevoli somme di denaro furono spese per ingrandire, abbellire e rendere più comode le residenze extraurbane, o ville. Tra queste si può citare oltre alla villa del Casale, la villa del Tellaro.

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