Monte Ingino – Gubbio

A molti il nome del monte Ingino non dirà molto: ma se ci aggiungiamo che è la quota addossata a Gubbio, allora saremo in molti a localizzare geograficamente questa piccola cima.

L’antichissima e celebre cittadina si stende proprio alle pendici del monte Ingino in una scenografica architettura d’insieme, nel tenue colore della pietra.

L’escursione è elementare e può essere abbinata ad una passeggiata nel centro storico.

Non è difficile, nella parte alta del paese, individuare le indicazioni per la basilica di Sant’Ubaldo.

Superati in buona sostanza il palazzo Ducale dei duchi di Montefeltro e la Cattedrale, ci si immette sulla pista che sale a larghe svolte sulle pendici dell’Ingino.

Gubbio è sicuramente mio, se il Vecchio del monte non me lo leva!.

Con questo spirito tracotante Braccio da Montone si appresta nel 1419 a conquistare Gubbio.

Ma una targa presso una sorgente ricorda come Sant’Ubaldo, Patrono di Gubbio, lo convinse a desistere dall’idea.

Infatti è proprio a Sant’Ubaldo che è dedicata la basilica che si trova al termine della pista (m 827), giusto alle spalle della stazione di arrivo della funivia.

La chiesa è anche meta della annuale Corsa dei Ceri, popolare e antichissimo evento che si tiene nel giorno del patrono.

Il tratto più ripido della salita da Gubbio, di circa 1 chilometro e mezzo, viene corso dai ceraioli recanti i ceri di 300 chili l’uno, in circa 10 minuti.

La salita si può effettuare anche in bidonvia, una sorta di aerea e curiosa gabbietta per uccelli che permette la visita anche ai meno allenati.

Lasciata la basilica e imboccata una larga mulattiera, si passa sotto le imponenti strutture metalliche che reggono la sagoma di una stella natalizia: illuminata assieme alla cometa, rende il monte Ingino l’albero di Natale più grande del mondo.

La camminata può proseguire ancora per includere anche la antica Rocca di Gubbio: si tratta di pochi resti che anticipano il punto più alto del monte Ingino (alla vertiginosa quota di 908 metri).

La canonizzazione di S. Ubaldo e la traslazione

Per un anno intero, dopo la morte di Ubaldo, si protrassero a Gubbio manifestazioni di straordinaria devozione: ininterrotti i pellegrinaggi della gente che portava al vescovo ceri accesi.

Tutta la popolazione lo venerava già come santo.

Ma fu Papa Celestino II che, con apposita bolla, data dal Laterano il 5 marzo 1192, lo canonizzò, annoverandolo ufficialmente tra i campioni esemplari della fede cattolica e chiedendo agli eugubini di festeggiarlo, come già avevano cominciato a fare, hilariter, cioè con gioia.

L’11 settembre 1194 il corpo di S. Ubaldo fu trasferito sul monte Ingino, in una chiesetta edificata poco al di sotto della rocca, nei pressi della pieve di San Gervasio.

Fu il vescovo Bentivoglio ad assumere questa decisione.

La leggenda racconta che in sogno fu lo stesso S.Ubaldo a chiedere al suo successore di indire un digiuno cittadino di tre giorni e, subito dopo, di porre il suo corpo su di un carro trainato da giovenchi indomiti, lasciandoli liberi di andare: il luogo dove si sarebbe fermato il carro era quello prescelto dalla Provvidenza.

Così fu fatto.

I giovenchi imboccarono la via che portava al monte e si fermarono presso la piccola chiesa di San Gervasio.

I due rami utilizzati per stimolare i giovenchi, piantati in terra, germogliarono originando due splendidi olmi. Da allora l’Ingino diventò il “Colle eletto dal Beato Ubaldo”, come lo chiamerà Dante nell’XI canto del suo Paradiso: il monte scelto da S. Ubaldo perché gli eugubini di tutte le generazioni potessero rivolgere verso lassù lo sguardo, fiduciosi.

Durante gli otto secoli seguenti a quella data, il corpo di Sant’Ubaldo venne riportato in città solo cinque volte: nell’agosto 1919, in occasione della fine della prima guerra mondiale, con il vescovo Carlo Taccetti, per mostrare “gratitudine a S. Ubaldo che accompagnò i figli sulla cima delle Alpi”; nel settembre 1929, con il vescovo Pio Navarra, per festeggiare solennemente l’ottavo centenario della consacrazione di S. Ubaldo a Vescovo di Gubbio (1129); nel maggio 1960, con Beniamino Ubaldi, in occasione dell’ottocentenario della morte; nel settembre 1986, con il vescovo Ennio Antonelli, in occasione del nono centenario della nascita, e, infine, nel settembre 1994, essendo vescovo Pietro Bottaccioli, a ricordo della “traslazione” avvenuta otto secoli prima.

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